
In un articolo di qualche giorno fa avevamo esposto quale fosse a nostro avviso la condizione necessaria ai giudici del tribunale di Napoli per mantenere in piedi la condanna di associazione per delinquere nei confronti di Moggi e Giraudo. In quella circostanza le deduzioni partivano da un presupposto preciso, ovvero quali tra le accuse dovessero sostanzialmente rimanere in piedi, un po’ come Rocky Balboa, dopo le scariche di cazzotti di Apollo Creed, per permettere ai giudici di condannare gli ex dirigenti bianconeri, ottimizzando al contempo anche le argomentazioni per il bar sport del sentimento popolare anti-juventino.
Questa volta invece vogliamo presentare per lo stesso  argomento un punto di vista un po’ più tecnico. Facciamo  affidamento sul contenuto del precedente pezzo per tutte le nozioni e  statistiche relative alle condanne ed assoluzioni nei vari gradi di  giudizio susseguitisi fino ad ora, e che quindi non ripeteremo in questa  sede, se non il dato che facenti parte dell’associazione sono finora  considerati dai giudici quattro ex arbitri: Bertini, De Santis,  Racalbuto e Dattilo.
Come già detto in precedenza, il capo A  sostanzialmente poggia sulle frodi sportive, poiché le altre accuse,  addirittura trascurate dal pm durante il dibattimento servono soltanto  da contorno e di “artificioso accrescimento”. Questo lo attesta lo  stesso collegio giudicante preseduto da Teresa Casoria che, a pag. 77  della sentenza di primo grado, continua poi scrivendo che “va dunque  preso avvio dai reati fine, la prova della cui sussistenza serve a  orientare la decisione anche sulla sussistenza del delitto di cui  all’art. 416 c.p”.
Da questo punto di partenza difficilmente si potrà  prescindere: se si vuole il capo A della associazione per delinquere  bisogna innanzitutto condannare per alcune frodi. Ma quali? Il quadro  accusatorio, come ben sappiamo, è molto fumoso, fatto di telefonate a  Biscardi, di attribuzioni manuali di schede straniere non altrimenti  ricostruibili e verificabili, di teoremi di influenze presunte  sull’andamento delle gare in stile “effetto farfalla”.  Il risultato di  tutto ciò è una condanna in primo grado molto dubbiosa dal punto di  vista della consistenza logica e in condizioni normali, quindi senza  influenze esterne, ci aspettiamo che il giudice di’Appello dovrà cedere  su alcuni punti dopo le contestazioni delle difese. Le analisi  dettagliate di ciascuna frode le abbiamo compiute negli articoli di un  recente speciale ai quali vi rinviamo.
Quali di queste presunte  frodi dovranno dunque giocoforza resistere? Facciamo alcune  considerazioni attorno a questo quesito partendo innanzitutto  dall’ipotesi, il teorema necessario per puntellare la condanna al capo  A, di cui poi verificheremo la resistenza: alcuni esponenti del mondo  del calcio si associano tra loro con un vincolo stabile con il comune  proposito e la comune risoluzione di commettere più reati di tentativo  di frode sportiva. Il reato di frode si manifesta attraverso la  predeterminazione fraudolenta delle cosiddette “griglie arbitrali” da  parte dei componenti dell'associazione, cosa “idonea a incrementare le  possibilità che per una determinata partita fosse scelto in concreto un  arbitro gradito a un competitore e sgradito all’altro”. L’arbitro  "gradito" facente parte dell'organizzazione criminale avrebbe poi  indirizzato, se sorteggiato, il destino della gara, alterandone il  “leale e corretto svolgimento”, ben protetto dalla legge 401/89, quella  appunto sulle frodi sportive. Trattandosi evidentemente di reato di  pericolo, non avrebbe quindi alcuna importanza se poi il sorteggiato  della gara fosse risultato o meno l’arbitro “gradito”.
Visto il  quadro generale, chiamarlo probatorio sarebbe fargli un complimento, è  questa, a nostro avviso, l’unica fantasiosa, teorica e remota  possibilità per i giudici di mantenere fede ad una condanna per  associazione per delinquere per Luciano Moggi e gli altri imputati di  questo processo. Già il primo grado ha dato una lettura simile e dunque  ne è immaginabile il tentativo anche in questo successivo grado di  giudizio. Alla base di tutto dovrà resistere la trasformazione in prova a  carico del fatto che vi fossero state conversazioni su linee nazionali  tra i membri della presunta associazione. A rafforzare il teorema, a  nostro avviso non decisivo nella nostra ipotesi, ci sarebbero poi le  attività “segrete”  avvolte dal “mistero”, quali gli incontri  istituzionali, ma “fuori dalle sedi istituzionali” (pag. 426 della  sentenza di primo grado) e il circuito delle intercettabilissime schede estere, che dal maresciallo Di Laroni della squadra Offside vengono attribuite a Moggi, Bergamo, Pairetto ed alcuni arbitri.
Vediamo  ora quali capi d’accusa, se confermati, si potrebbero prestare a questo  gioco accusatorio. Il capo principe risulterebbe essere quello alla  lettera Q, relativo alla grigliata notturna del 9/2/05 prima di  Juventus-Udinese, perché permetterebbe di teorizzare lo scopo  dell’associazione, ovvero l’intervento sulle griglie e possiederebbe una  proprietà che vedremo in seguito essere determinante per l’ipotesi  accusatoria. A questo scopo anticipiamo qui quali furono gli arbitri  considerati per o inseriti nella prima griglia: Bertini, Paparesta,  Trefoloni, Racalbuto, Tombolini, Rodomonti. Per Juventus-Udinese finirà  poi per essere sorteggiato, durante sorteggi assolutamente regolari  (come confermato dalla stessa sentenza di primo grado), Pasquale  Rodomonti.
Nel precedente articolo abbiamo anche ricordato che il  capo Q ha l’effetto collaterale di essere l’unico di frode che ancora  coinvolge l’ex amministratore delegato della Juventus, Antonio Giraudo.  L’ex dirigente bianconero è fondamentale per mantenere la responsabilità  diretta della Juventus in ambito sportivo, meno per quanto riguarda il  fantomatico teorema dell’esistenza di un'associazione per delinquere,  potendo questa in teoria anche prescindere da Giraudo stesso, al quale  oltretutto non viene attribuita alcuna scheda. In ogni caso, finché l’ex  ad della società piemontese resterà condannato per questo capo  d’accusa, il suo coinvolgimento nell'associazione è altamente probabile.
L’altra  imputazione relativa all'influenza sulle griglie è il capo F. Una  seconda accusa è necessaria per teorizzare la stabilità delle operazioni  relative alla manifestazione criminale. Sarebbe abbastanza curioso se  la fatidica associazione in un intero anno avesse attuato lo scopo  criminoso in una sola circostanza. Tale capo però, in questa ottica, è  abbastanza controverso. Presenta infatti un'enorme lacuna dal punto di  vista logico: nella teoria della nostra ipotesi criminale,  l’associazione sceglie le griglie in modo da aumentare le possibilità  che venga sorteggiato un arbitro “gradito”. Tuttavia, qui ad essere  inserito nella griglia è proprio Dondarini, il quale, ci fa piacere  ricordarlo, prosciolto da ogni accusa, non figura assolutamente tra i  presunti arbitri dell’associazione. Quindi per dare un senso alla  stabilità dei propositi di questa cupola bisognerebbe spingersi sul  terreno molto scivoloso dell’arbitro-gradito-ma-in-perfetta-buona-fede.  Cosa che con una serie di supercazzole in effetti avviene proprio nel  capo F, dove la sentenza motiva la condanna con astratti e astrusi  concetti di “bagaglio di cognizioni” differenti per gli arbitri, “su  quel campo l’arbitro avrebbe potuto anche non esserci”, e non importa se  “in nessun errore ebbe ad incorrere l’arbitro” del quale “si presume la  buona fede” (pag. 123). Come le sliding doors basterebbe quindi il solo  fatto che a monte venga considerata per qualche motivo alterata la  procedura della formazione della griglia per configurare l’ipotesi della  frode, non importa se tutti gli arbitri in griglia, e soprattutto  l’arbitro che si presume essere il risultato dell’alterazione,  Dondarini, sia(no) in perfetta buona fede.
A nostro avviso questa  logica è difficilmente sostenibile, soprattutto in seguito ai, ne siamo  certi, puntuali rilievi su questo aspetto da parte delle difese. Così, a  nostro avviso, in definitiva il giudice si troverà in difficoltà  oggettive nel dover giustificare una complicata associazione che con  tanta fatica viene chiamata in vita per alterare una sola griglia  arbitrale in tutto il campionato.
Proprio in questa ottica al  quadro accusatorio tornerebbe utile il fatto che nella sua requisitoria  all'attuale processo d’Appello il sostituto procuratore generale,  Antonio Ricci, abbia precisato che “non era solo la Juve ad avere rapporti privilegiati con gli  arbitri, più che favorire la Juventus si voleva favorire un sistema dove  gli interessi dell'associazione andavano di pari passo con quelli  personali dei singoli soggetti coinvolti”. Se appunto i giudici  dovessero sposare la teoria del sostituto procuratore, cosa che  toglierebbe definitivamente la Juventus dal centro di questa fantomatica  e scriteriata associazione, ciò avrebbe il “vantaggio” per l’accusa di  aumentare il numero di circostanze in cui si sarebbe deciso di alterare  le griglie. Infatti al capo A10, relativo a Lecce-Parma, si parla di  “artefatta costituzione dell’apparato arbitrale, imperniata, nel  rapporto di confezione di griglie e sorteggio” (pag. 390), accusa che ha  visto assolto Moggi, ma che ancora coinvolge il designatore arbitrale  Bergamo, il dirigente federale Mazzini e l’ex arbitro De Santis della  presunta cupola, oltre ai proprietari e dirigenti della Fiorentina, i  fratelli Della Valle e Sandro Mencucci, per i quali però i reati sono  già prescritti, prescrizione alla quale gli imputati non hanno  rinunciato, con il risultato che per loro è stato chiesto il non luogo a  procedere. Questo allargamento avrebbe come effetto collaterale anche  il fatto di tenere dentro l’associazione Innocenzo Mazzini, il quale  altrimenti non avrebbe alcuna utilità, se si considerassero soltanto le  accuse in funzione della Juventus. Ci sarebbero poi anche altri due capi  legati rispettivamente a Lazio e Fiorentina, U e A5, nei quali il  tribunale in primo grado ha ipotizzato influenza sulle griglie. Ma anche  qui, come per il capo F, gli arbitri, innocenti, non fanno parte in  alcun modo della presunta cupola.
Fatto lo scopo e rimanendo  circoscritti in ottica di Juventus, c’è ora bisogno di far entrare  nell’associazione gli arbitri. Ma quali? In questa ipotesi sono utili, a  nostro avviso, soltanto coloro i quali vengono realmente inseriti nelle  griglie, aumentando cosi’ (“marginalmente” o “remotamente”, per  citare i concetti del tribunale) le chances di riuscita di avere un  arbitro “gradito”. Detto del fatto che la griglia di Juventus-Lazio al  capo F contiene un arbitro già prosciolto, è proprio questa la ragione  che ci fa propendere, nell'ipotesi in esame, a considerare Racalbuto e  Bertini più probabili di Dattilo e De Santis, che per inciso all'inizio  dell'Appello hanno esplicitamente rinunciato ad avvalersi dell'istituto  della prescrizione, giacché essi non compaiono nella prima griglia di  Juventus-Udinese del capo Q.
Ad unire i quattro ex direttori di gara  c’è comunque l’attribuzione per ciascuno di loro di una scheda  straniera, anche se Dattilo non ne fa sicuramente uso in corrispondenza  dei fatti per i quali per ora è stato condannato al capo M. Stesso  discorso vale per De Santis per i capi G, relativo a Fiorentina-Bologna  con le “ammonizioni preventive” a Petruzzi e Nastase in vista di  Bologna-Juventus, e A5, Chievo-Fiorentina, oltretutto in alcun modo  ricollegabile alla Juventus, ma che incredibilmente ancora coinvolge il  suo ex direttore generale. La posizione dell’ex arbitro di Tivoli  rispetto all’associazione è inoltre già di suo molto controversa poiché entra e esce a piacimento.
Tutto  ciò rafforza la nostra convinzione che per il quadro accusatorio  ipotizzato sia maggiormente utile mantenere dentro gli altri due  direttori di gara. Dobbiamo a questo punto anche aggiungere che i fatti  contestati all’ex arbitro Racalbuto ai capi O, Cagliari-Juventus di  Abeijon, e Z, la caciarosa Roma-Juventus “dei traditori”, sono nel  frattempo caduti in prescrizione. L’imputato non vi ha per ora  rinunciato, un diritto che non ci permettiamo minimamente di sindacare.  Al contrario dell’ex direttore di gara di Gallarate, l'ex fischietto  toscano Paolo Bertini all’inizio del processo d’Appello ha invece  dichiarato di volervi rinunciare, benché la prescrizione per i fatti  contestatigli al capo M, relativa alla Juventus-Milan del vantaggio  negato a Kakà, fosse scattata nel frattempo anche per lui.
Data  quindi l'avvenuta prescrizione potremmo maliziosamente pensare che ai  giudici non costerebbe più nulla mantenere il giudizio di condanna,  sebbene prescritta, per O e Z, o anche uno solo di essi, per Luciano  Moggi e utilizzare quei capi a supporto dell'associazione, tanto ne  pagherebbe le conseguenze soltanto l’ex direttore, visto che in entrambi  i casi oltre a Moggi è stato condannato soltanto Racalbuto.
Per  Bertini invece i giudici dovrebbero guardare in faccia all’imputato e  dichiarare la colpevolezza di un uomo che con fiducia nella giustizia  rinuncia alla prescrizione sicuro della propria innocenza e che continua  a lottare per la propria dignità. Colpevolezza che risulterebbe non più  necessaria per l’ipotesi accusatoria che facciamo in questo contesto e  che per giunta, a nostro avviso, le motivazioni del primo grado sono ben  lontane da giustificare, come del resto per i capi O e Z e tutti gli  altri capi che abbiamo esaminato.
Quindi riassumendo, per  mantenere in vita l'improbabile associazione per delinquere finalizzata  alla frode sportiva nella nostra ipotesi ci vorrebbe come minimo la  conferma dei capi Q e almeno uno tra i capi O e Z, con il risultato di  implicare gli ex designatori Bergamo e Pairetto, Luciano Moggi, Giraudo e  Salvatore Racalbuto, per il quale il reato è prescritto. Leggermente  più robusto, ma non meno privo di fondamento sarebbe, da parte del  giudice, l'allargamento del fine ad un generico controllo del sistema,  togliendo definitivamente la centralità della Juventus, potendo così  inserire anche il capo A10 e coinvolgendo quindi anche Mazzini, De  Santis e i prescritti dirigenti e proprietari della Fiorentina, questi  ultimi in ogni caso non coinvolti nell'associazione.
Oltretutto,  allargando il fine dell’associazione e affibbiando la qualifica di  promotore, oltre a Moggi, anche a Bergamo, cosa che è stata richiesta  dalla Procura, potrebbero rientrare dalla finestra anche alcune presunte  manifestazioni di frodi sportive, quali designazioni di assistenti  arbitrali ritenute fraudolenti, oppure dialoghi con arbitri nel  tentativo di influenzarne la condotta durante la partita. Presunti  reati, evidenziamo, che nulla hanno a che vedere con la Juventus e  Luciano Moggi, per i quali sono implicati dirigenti e proprietari di  altre squadre (tra i quali anche l'inventore della "teoria delle  ammonizioni preventive", Leonardo Meani), legati a Fiorentina, Reggina,  Milan e Lazio. E anche se non tirano in mezzo la Juventus, sarebbero  tuttavia eventualmente utili per disegnare lo scenario di un'ipotetica  associazione promossa da un designatore assieme a Luciano Moggi e con il  fine di compiere atti fraudolenti, favorendo una volta una squadra e  una volta un’altra, per accrescere il proprio potere all’interno del  mondo del calcio per proprio tornaconto personale.
Noi ovviamente  ci auguriamo che dopo 7 anni dall’uscita delle prime intercettazioni  sui giornali, il processo di Appello che si sta attualmente celebrando a  Napoli sia l’occasione per rendere finalmente giustizia dopo così tanto  tempo a persone la cui vita da allora è completamente cambiata;  e alcuni di loro, rinunciando alla prescrizione, cercano ancora oggi di  dimostrare la buona fede dei propri comportamenti ritenuti equivoci  dalla squadra Offside e utilizzati dalla Procura di Napoli per  comporre i capi d’accusa e dai giudici del tribunale della stessa città  per condannarli.
Diciamo questo sulla base del fatto che durante il  recente speciale abbiamo analizzato ciascun capo d’imputazione,  posizione per posizione, prova per prova, di tutto ciò che è stato  ascritto a Luciano Moggi. La nostra impressione è che non ci sia  assolutamente nulla che possa giustificare la condanna per reato di  frode, men che meno per un'associazione per delinquere. C’è stata qua e  là magari qualche conversazione eticamente discutibile, ma a nostro  avviso non certo tale da poter integrare i criteri della 401/89 né del  416 c.p.
Tuttavia, avendo seguito molto da vicino questi processi fin  dalle loro prime battute e avendo potuto leggere ed analizzare le  motivazioni date per giustificare l’attuale quadro di condanna,  riteniamo che le difese avranno un compito molto arduo nel riuscire a  rompere il livello di astrazione, permesso dalle norme di legge in  questione, e nel quale i giudici si sono finora rifugiati.
Restiamo  comunque in attesa di come sarà l’evolversi del processo, fiduciosi del  fatto che il collegio difensivo in questi quasi due anni dalla condanna  abbia studiato bene le motivazioni, fatto le proprie considerazioni,  continuato a sbobinare le intercettazioni telefoniche non ancora  trascritte e trovato altre prove a discarico, con il risultato magari di  spezzare il quadro dell’accusa che, quasi come Sylvester Stallone in  Rocky, prende cazzotti da tutte le parti, cade rosso di sangue e lividi,  e che tuttavia, non si sa come, ogni volta si rialza, nonostante la  certezza negli occhi di chi guarda che pugni così nel mondo reale  porterebbero direttamente al camposanto. Ma si sa, nel caso di Rocky si  tratta di una fiction e quindi tutto è permesso, anche la sostanziale  presa in giro degli spettatori, se vogliamo.
Nel caso di Moggi e  degli altri imputati, siamo invece in presenza di accuse serie ed  infamanti che stanno rovinando le vite delle persone e delle loro  famiglie e auspichiamo quindi nell’analisi nel giudizio di quei  comportamenti considerati reato l’applicazione, finalmente,  dell’equilibrio e del buon senso. Buon senso ed equilibrio, che assieme a  prove reali sono i veri assenti di questi processi, a partire da quelli  mediatici dell'estate del 2006.
Vai alla sezione Farsopoli con lo speciale sul processo di Napoli.
	      
